Avevo uno zio idealista e comunista.

 

Quando ero ragazzo. Quando avevo la possibilità di parlare e discutere con lo zio idealista, ero subito messo alle strette sulle conquiste del “Paradiso sovietico”, paradiso di efficienza e libertà per tutti i lavoratori.

Non avendo possibilità di verificare queste sue convinzioni, ascoltavo in silenzio e mi permettevo, unicamente, di controbattere con i vari articoli che leggevo sui Quotidiani e Riviste occidentali.

La prima volta che lo vidi critico fu in occasione di una visita nell’Est europeo, in auto e tenda, accompagnato dalla famiglia: moglie e tre figli.

Dopo avermi decantato la bellezza e la suntuosità della Metropolitana di Mosca, iniziò a lamentarsi, relativamente alla “rigida burocrazia”, sul fatto che il percorso stabilito all’atto della richiesta di “visto” specificasse tassativamente le strade che dovevano percorrere, senza trasgredire a tale itinerario salvo essere rinviato immediatamente in Italia.

La seconda che lo mise in crisi fu l’avventura alla frontiera Russo Finlandese.

Si era attardato qualche ora a visitare Leningrado e quando giunse al posto di frontiera, lo trovò sbarrato. Le guardie lo rimproverarono perché il visto era scaduto poche ore prima e pure la Dogana Finlandese accettava il passaggio solo all’alba del giorno seguente.

Non poteva rimanere in territorio sovietico e, contemporaneamente, non poteva entrare in quello Finlandese.

Un doganiere russo, visto la composizione familiare gli permise di accamparsi nella “terra di nessuno”, ovviamente in piena campagna e senza alcun servizio.

Questa rigidità burocratica lo colpì nel lato debole “la tanto decantata ospitalità propagandata dai suoi “compagni”.

L’anno successivo si verificò la rivolta di Budapest, schiacciata ferocemente con i carri armati inviati dal Cremlino. Anche in questo caso la tanto decantata libertà socialista veniva meno in nome del ferreo controllo sugli Stati satelliti di Mosca.

La conclusione di quella rivolta con l’uccisione dei capi Ungheresi: il Presidente Imre Nagy e il Generale Pál Maléter che vennero processati e giustiziati in gran segreto dal governo di Kádár il 16 giugno 1958, dopo un processo a porte chiuse durato cinque giorni. Jozsef Szilagyi, capo della segreteria di Nagy, era già stato giustiziato due mesi prima, probabilmente fu il colpo finale alle sue illusioni.

Non ammise direttamente di essere stato ingannato nei suoi ideali, solo stracciò la tessera del PCI.

Neo giorni della rivolta, ricordo che portai sul bavero della giacca la coccarda della bandiera Ungherese e forse questo fece pià male allo zio rispetto all’abbandono del Partito sul quale cullava le sue speranze di libertà e democrazia popolare.


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